creato da G. Visetti * diretto da F. Fontanella
(di Sandro Strumia) |
Anche il tronco, molto più contorto di quello del Leccio, può essere d'aiuto per riconoscerlo; ma quando riusciamo a vedere le sciuscelle (termine dialettale per carrube), allora possiamo essere sicuri di stare di fronte ad un Carrubo. Dal punto di vista ecologico, lo si potrebbe quasi definire un frate francescano degli alberi, vista la sua frugalità che gli permette di sopravvivere in terreni poveri ed inospitali e, malgrado ciò, di sviluppare enormi tronchi perfino quando affonda le radici nelle spaccature delle rocce. Le carrube sono sempre state utilizzate in molti modi: come foraggio per gli animali (in particolar modo per i cavalli), per produrre, facendole fermentare, delle bevande alcoliche, od anche nell'industria alimentare per ricavarne degli addensanti (la farina di carrube). Le carrube possono anche essere mangiate così come si raccolgono, ma il loro sapore dolciastro è molto particolare e non piace a tutti; in alcuni casi sono state tostate ed utilizzate come surrogato del caffè. Una particolarità della pianta è che i suoi semi sono durissimi e, soprattutto, tutti uguali per forma ed in particolare per peso. I popoli del bacino orientale del Mediterraneo, da dove questa pianta proviene, conoscevano questa caratteristica dei semi e quindi li usavano come unità di peso per oro e pietre preziose; in pratica su di un piatto della bilancia ponevano l'oro o le pietre preziose e sull'altro i semi del keration (così lo chiamavano i Greci). Ecco perché ancora oggi è rimasta la consuetudine di indicare il peso di oro, diamanti o altre pietre preziose in carati e non in grammi. Il nome italiano Carrubo è dovuto all'influenza degli Arabi che chiamano questa pianta Charrùba. In Inghilterra invece esso prende il nome di St. John's bread (pane di San Giovanni), perché in un passo della Bibbia si racconta che San Giovanni, che si trovava nel deserto, riuscì a sopravvivere nutrendosi di locuste, che secondo molti sarebbero le carrube. |