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Il cacciatore e la beccaccia

(di Ferdinando Fontanella da: Racconti di un naturalista stabiese - 2010)


Mastro CiccioMastro Ciccio ogni sera si affacciava alla balaustra del terrazzo della piccola casa di Quisisana, amava guardare i tramonti del golfo di Napoli, in lontananza vedeva Capri e Ischia, di fronte il maestoso Vesuvio con adagiate ai suoi piedi Torre del Greco e Torre Annunziata, più in là Pompei di cui riconosceva il profilo dell’alto campanile e le antiche rovine degli scavi, poi la foce del fiume Sarno, lo scoglio di Rovigliano e la sua città Castellammare, il rione spiaggia, il lungomare con la villa comunale, il centro antico, il cantiere navale ed infine la basilica di Pozzano.

I tramonti lo aiutavano a ricordare la gioventù, era nato alla fine degli anni venti del Novecento e da quando aveva compiuto novanta anni i ricordi gli facevano spesso compagnia, riempivano le giornate e gli davano l’opportunità di rivedere tante cose a lui care ormai lontane nel tempo.

Quella sera il cielo era splendidamente tinto di mille sfumature rosse, guardando il frenetico cacciare di un gruppo di rondini pensò che da giovane anche lui era stato un abile e leale cacciatore. La sua fama di tiratore era quasi leggendaria, tutti sapevano che non gli era mai capitato di sbagliare un tiro.

Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva imbracciato un fucile? Forse quaranta o più anni, non ricordava con precisione l’anno in cui aveva smesso di andare a caccia, ricordava però il motivo che gli aveva fatto appendere l’amata doppietta al chiodo.

In una fredda mattinata di fine ottobre, era uscito presto, quando fuori era ancora buio e l’alba ancora lontana. Col fucile in spalla e il fedele setter Bruno al seguito lesti si erano inerpicati per il sentiero dell’Acqua dei porci e da qui alla faggeta del Monte Faito dove si nascondeva la sua preda, la beccaccia. Superbo uccello migratore che sverna nel nostro paese da ottobre e marzo per poi ritornare nel Nord Europa dove nidifica.

Fin da ragazzo aveva imparato a riconoscerla dal caratteristico becco lungo e aguzzo, le ali a punta, la coda corta e il colore indescrivibile fatto di mille sfumature di grigio e marrone, che rendono l’uccello praticamente invisibile quando si acquatta tra le foglie morte del sottobosco. Invisibile agli occhi del cacciatore, non certo all’olfatto del cane da caccia.

BeccacciaNell’arte di scovare le beccacce il cane Bruno era un vero maestro, percorreva il bosco in lungo e in largo e quando fiutava la traccia la seguiva cautamente per poi arrestarsi immobile come una statua in prossimità della preda in attesa che il padrone fosse in posizione pronto per sparare. Anche quella mattina Bruno era stato bravissimo, appena entrato nel bosco aveva scovato la traccia e dopo pochi minuti puntava in direzione di un’enorme faggio secolare. Mastro Ciccio si era piazzato alle spalle del cane e sicuro di sé aveva dato il comando «Vai!».

Bruno con un balzo era scattato in avanti e nel medesimo tempo il padrone aveva imbracciato il fucile pronto a sparare all’uccello che doveva librarsi in volo. Quella volta però non andò così, la beccaccia invece di alzarsi iniziò a strisciare miseramente, cercando riparo in un mucchio di foglie poco lontane. Bruno indeciso restava immobile e con aria interrogativa guardava ora la preda ora il padrone. Mastro Ciccio richiamò il cane e si avvicinò alla beccaccia la vide impaurita, rannicchiata nel tentativo di non farsi trovare. L’animale che aveva tante volte inseguito, sfidato e spesso vinto, ora giaceva ferito ai suoi piedi, orribilmente mutilato da una maldestra fucilata.

Due occhi enormi e lucidi guardavano impauriti il cacciatore, che in quegli occhi scorse tutta la fierezza del nobile uccello, la fatica del lungo viaggio migratorio, la consapevolezza dell’imminente morte. Mastro Ciccio allora capì che non sarebbe stato più lo stesso.

L’infallibile cacciatore di un tempo era stato per sempre sconfitto dallo sguardo dell’animale morente.

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