creato da G. Visetti * diretto da F. Fontanella |
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Scheda naturalistica Famiglia: Pinaceae Abies alba Mill. Sinonimo: Abies pectinata Nome comune: abete bianco Nome inglese: silver fir Nome locale: abbéte, arbero 'e Natale Descrizione: albero sempreverde, slanciato, a portamento piramidale, 10-45 (60) m d'altezza. Tronco colonnare con corteccia grigia, desquamante con l'età in piastre sottili. Foglie persistenti, lineari-appiattite, larghe circa 2 mm per 2-3 cm di lunghezza, inserite singolarmente tutt'attorno ai rami ma rivolte tutte verso uno stesso lato così da formare due serie opposte che nell'insieme ricordano un pettine, sopra lucide e di colore verde scoro, sotto scanalate lungo la venatura centrale con due evidenti linee longitudinali bianco-argentine. Specie monoica, coni maschili brevi e di colore giallo, ovoidali, non peduncolati e rivolti verso il basso per favorire la dispersione del polline ad opera del vento (anemogamia); coni femminili, solitari, eretti, lunghi fino a 9 cm, prima verdi poi rosso-violaceo a maturità, squame appendicolate. Il cono femminile maturo non cade intero dall'albero, le squame si disarticolano liberando i semi alati e lasciando sul ramo il solo rachide centrale del cono. Habitat: cresce nell’intervallo altimetrico tra 400 e 1800 metri s.l.m. Boschi montani nella fascia del Faggio. Periodo di fioritura: Aprile-Maggio
note:
la specie è presente al Monte Faito
dove forma boschetti sul pianoro. La presenza di questa entità floristica necessita, tuttavia, di alcune considerazioni di carattere storico per essere bene contestualizzata ed eventualmente valorizzata. Non v'è dubbio che in passato l'Abete bianco
crescesse spontaneo al Faito, dove persistono condizioni ecologiche
favorevoli, ma di questi antichi alberi autoctoni forse oggi non esistono
più esemplari. Come riporta il naturalista
Michele Guadagno (1924) "Gli
individui osservati dal Cavolini nel 1780 dovevano essere gli ultimi
spontanei della nostra montagna di Castellammare. Ora questa essenza è
coltivata al Faito". I grandi abeti del Faito furono abbattuti nel XVIII
secolo e servirono per la costruzione delle prime navi da guerra, destinate
al rinnovo della flotta borbonica, varate al cantiere navale di
Castellammare di Stabia. L'opificio aprì i battenti nel 1783 e appena tre
anni dopo scendeva in mare il possente vascello Partenope. A tal poroposito
in un famoso dipinto di Filippo Hackert in cui è ritratto il varo del
Partenope, si notano in bella mostra, in primo piano, una grande quantità di
maestosi tronchi, quello che restava dei vetusti alberi del Faito, pronti
per essere usati per le altre navi in allestimento. I borbone per mantenere intatta la risorsa di
legname del Faito, al taglio del bosco antico fecero seguire l'impianto di
una fustaia a conifere. Per la realizzazione del nuovo e produttivo bosco la
Casa Reale si avvalse della competenza dell'illustre botanico partenopeo
Giovanni Gussone (1787-1866) e, per tale motivo, negli anni a seguire la
fustaia prese il nome di "Pineta Gussone di Faito", come si legge in
Savastano (1893). Finita la monarchia borbonica nel 1860 il Faito fu
messo in vendita e acquistato, come riporta il Trombetta (1983), dal conte
Girolamo Giusso (1843-1921). Il nuovo proprietario introdusse al Faito svariate
innovazioni volte alla riorganizzazione agro-silvo-pastorale della montagna.
"Delle piantaggioni fatte dalla Casa Reale conservò solo gli abeti e i
pini, che raggiunsero un'altezza tale, che un buon colpo di fucile
da caccia non riusciva a raggiungere in modo efficace un uccello posato
sulle loro cime, e davano con le loro forme affusolate, specie se mosse da
leggero vento, uno spettacolo meraviglioso e un'armonia indimenticabile. Di
essi ora esiste qualche raro esemplare, scampato all'abbattimento avvenuto
verso il 1920. Le altre piante, cioè larici, elci, querce, furono tutte
distrutte ed al loro posto piantò un castagneto..." All'opera del conte
Giusso si deve "pure la messa in sito di centinaia di migliaia di
piccoli pini, oggi annose piante...". Morto il conte Giusso, in mancanza di figli, la proprietà del Faito fu ceduta tramite asta pubblica al principe Colonna di Paliano e da questi, dopo qualche anno, rivenduta alla Società Ferroviaria Meridionale. Si giunge così nella seconda metà del '900 e, alle porte della modernità, il Faito subisce una riorganizzazione volta allo sviluppo turistico, con la costruzione di numerose opere edilizie che nel complesso presero il nome di Villaggio Monte Faito. Le conifere d'epoca
borbonica e quelle del conte Giusso sopravvissero alla modernità e ancora
oggi fanno bella mostra di sé per la gioia di escursionisti e villeggianti. Per quanto riguarda l'aspetto naturalistico bisogna
aggiungere che gli abeti bianchi del Faito sono assai vitali, numerose
plantule crescono nel sottobosco, come sicuro indice di vigoria della
popolazione, entrando spesso in competizione col castagno, che a 1000 m
s.l.m. stenta, e più raramente col faggio. In chiusura di questo breve scritto, sono doverose alcune considerazione di carattere conservazionistico: tra gli abeti bianchi che crescono al Faito alcuni di essi sono veramente maestosi e sicuramente assai vetusti; questi alberi potrebbero essere esemplari autoctoni scampati al taglio operato dai borbone nel XVIII secolo, non è cosa rara che per svariati motivi, spesso anche di natura scaramantica o amministrativa, pochi e significativi esemplari scampino alla scure dei taglialegna. Con uno studio dendrocronologico e una ricerca
genetica si potrebbe accertare la reale età di questi alberi e l'eventuale
differenza genetica con i circostanti esemplari impiantati nella cosiddetta
Pineta Gussone. Qualora si riuscisse ad accertare la naturalità delle entità
sopra menzionate, queste assumerebbero un valore naturalistico notevole. Nel caso le piante non fossero autoctone meriterebbero comunque grande considerazione perché da un lato sono maestosi esemplari biologici e dall'altro, e soprattutto, perché di notevole valore storico-culturale, come dirette testimoni di eventi storici assai importanti, basti pensare che il cantiere navale di Castellammare di Stabia è la più antica fabbrica di navi d'Italia ancora in attività. Potrebbe interessarti: Testi consultati: 1) ADINOLFI G., 2011; 2) BRANCACCIO S., 1989 ; 3) CONTI F., et al., 2005; 4) FIORI A,. 1923-1925a; 5) GUADAGNO M., 1924; 6) PIGNATTI S., 1982; 7) SAVASTANO L., 1893; 8) TICLI B., 2007; 9) TROMBETTA A., 1983 10) ZANGHERI P., 1976. |
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(Varo del Vascello Partenope anno 1786 - immagine Liberoricercatore.it)
Immagini e testo a cura di Ferdinando Fontanella |
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