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un sito web creato da Giovanni Visetti * diretto da Ferdinando Fontanella


 

Avifauna costiera e migratrice
(di Gabriele de Filippo e Lucilla Fusco: in Le Coste di Sorrento e di Amalfi di Visetti G., Scientifica - 1991)

 

Nel suo memorabile Siren land Norman Douglas notava: "No, proprio non si potrebbe biasimare chi volesse costruirsi un piccolo rifugio estivo, per trascorrere un breve periodo di Katharsis, di purificazione e riadattamento, qui, su queste odorose colline delle sirene...". Questa osservazione, sebbene riferita ad un esemplare umano, perchè non potrebbe essere estesa alle innumerevoli specie di fauna selvatica che abitano per periodi più o meno brevi queste terre? E ciò nonostante gli interventi sul territorio commessi negli ultimi decenni, non sempre corretti e appropriati, abbiano determinato un forte depauperamento del patrimonio naturalistico e quindi di quello faunistico. Tuttavia già ai primi del novecento lo stesso Douglas notava: "Non è piacevole essere uccello nella Terra delle Sirene!". Si riferiva allo sterminio ai danni di "... qualunque cosa abbia penne ... senza tener conto di misura e di specie".

Il maggiore interesse faunistico della penisola sorrentina è relativo alle numerose specie di uccelli migratori, conseguenza della particolare ubicazione geografica e della sua conformazione. Infatti gli uccelli migratori, durante il volo periodico tra gli areali settentrionali di nidificazione e quelli sud-Mediterranei o sud-Sahariani di svernamento, utilizzano principalmente isole e piccoli scogli lungo costa come aree di sosta. La stessa Punta della Campanella, sita all'estremità della penisola e in posizione limitrofa a Capri, Ischia, Procida, Vivara, e agli scogli di Isca, Vetara e Li Galli, viene vista dagli uccelli in migrazione come un'ulteriore isola. Così la sua ubicazione, lungo le principali rotte migratorie, rende possibile anche l'osservazione di quelle specie non strettamente legate all'ambiente costiero e roccioso.

Il passo primaverile è molto più numeroso di quello autunnale a causa dell'abitudine di molte specie a compiere migrazioni che gli ornitologi chiamano circolari. Accade infatti che, per raggiungere il luogo di riproduzione, venga percorsa una rotta diversa da quella precedentemente seguita verso il sito di svernamento. Così molte specie che in primavera migrano seguendo le coste italiane in autunno sorvolano altre zone. E' quindi più facile che capiti di osservare voli di aironi, piccoli trampolieri, gru, anatre, oche selvatiche, cicogne, ecc. durante il loro viaggio verso i quartieri di nidificazione, in particolare in aprile; si tratta di uccelli che solitamente frequentano ambienti per lo più paludosi o acquitrinosi e che tuttavia sorvolano il mare durante i passi migratori.

Il canoista potrà effettuare gli incontri più interessanti durante i tragitti sottocosta, alla base delle alte falesie a picco sul mare. Con un po' di fortuna potrà spiare, spesso solo a pochi metri di distanza, un cormorano (Phalacrocorax carbo) perfettamente immobile con le ali spiegate, in attesa che gli si asciughino dopo un tuffo nelle cristalline acque sorrentine alla ricerca dei pesci di cui si nutre. Molto probabilmente sulle stesse falesie potrà accadere di notare anche uno stormo di garzette (Egretta garzetta), piccoli aironi bianchi, che riposano appollaiate dopo numerose ore di volo. Sul mare, invece, potremmo imbatterci in uno stormo di anatre o oche in una tipica formazione a V a bassa quota sull'acqua.

Ma la primavera è anche un buon periodo per osservare uccelli ti­pici degli ambienti rocciosi. Si tratta di animali specializzati a sopravvivere in questo habitat che per molti altri si presenta ostile a causa dei venti, delle alte temperature estive, della salsedine, e della relativa scarsità di cibo. Chi va per mare è addirittura privilegiato nelle osservazioni rispetto a chi percorre sentieri a piedi; infatti molti di questi uccelli abitano falesie a picco sul mare, inaccessibili da terra. Queste costituiscono un sito ideale per costruire il nido al riparo dai numerosi predatori terrestri, come la volpe (Vulpes vulpes), i ratti (Rattus sp.), i gatti, i cani randagi e non ultimo l'uomo.

La specie principe delle falesie è senza dubbio il pellegrino (Falco peregrinus). Questo falco non è esclusivo abitatore delle aree costiere in quanto si trova anche in alta montagna; è una specie molto legata alla penisola sorrentina, dove è conosciuta col nome dialettale di falcune, con cui, in verità, vengono desi­gnate anche altre specie di falchi. Il pellegrino depone le sue uova su cavità o terrazze naturali, sfruttando spesso il nido abbandonato da altri grossi uccelli. Bisogna fare molta attenzione a non disturbarlo passando inavvertitamente sotto la parete rocciosa ove nidifica, infatti in questo caso se un adulto è in cova, si allontanerà allarmato e abbandonerà le uova o i piccoli in balia di eventuali predatori. Nella penisola sorrentina una coppia di pellegrini riesce a allevare sino all'involo due e spesso tre piccoli; questo elevato tasso di natalità è indice di un basso livello di inquinamento ambientale, in particolare quello da pesticidi. Infatti, in altri Paesi e anche altrove in Italia, il pellegrino è seriamente messo in pericolo dall'uso massiccio di fitofarmaci. Queste sostanze chimiche permangono a lungo nei tessuti delle piante per poi trasferirsi negli animali erbivori; questi a loro volta sono predati da altre specie e così via, sino ad arrivare all'apice della catena alimentare. In tutti questi passaggi i fitofarmaci non vengono mai eliminati, anzi si accumulano con concentrazioni sempre maggiori aumentando gli effetti dannosi. In particolare nei falchi molte di queste sostanze diminuiscono la fertilità degli adulti o rendono più fragili i gusci delle uova, riducendo quindi il tasso di natalità. L'unica causa che in penisola sorrentina ha determinato negli scorsi decenni una drastica diminuzione del numero di coppie di pellegrini è stato il disturbo dell'uomo. E' ancora viva nella memoria la pratica, ormai in disuso ma potenzialmente ancora pre­sente, di razziare le uova dal nido per destinarle al mercato dei falconieri d'oltralpe, in particolare di quei Paesi dove la specie è estinta o è molto più rara che da noi, come ad esempio la Germania. Fortunatamente negli ultimi dieci anni è diminuito il disturbo da parte dell'uomo, e conseguentemente è aumentato il numero delle coppie nidificanti, insieme alla speranza che questo affascinante uccello venga rispettato e assunto a simbolo ideale dei meravigliosi paesaggi amalfitani.

Altri uccelli rapaci che abitano le medesime pareti rocciose sono il gheppio (Falco tinnunculus) e la poiana (Buteo buteo). Il primo, agli occhi di un osservatore poco esperto, può essere confuso col pellegrino poiché gli somiglia nella forma falciforme e appuntita delle ali. Il pellegrino tuttavia presenta una sagoma molto più tozza, con una colorazione grigiastra e maggiori dimensioni, mentre il gheppio è più piccolo, più affusolato e di piumaggio bruno-rossiccio (il maschio con testa e coda azzurro-grigiastra). I due falchi sono invece facilmente distinguibili dalla poiana che, come tutte le specie appartenenti all'ordine degli Accipitriformi (ad esempio le aquile), possiede dimensioni in genere maggiori di quelle dei falchi e le ali dalla caratteristica forma larga e sfrangiata alle estremità come le dita di una mano. Frequentemente si potranno osservare i falsi attacchi che gheppio e pellegrino eseguono ai danni di poiane che ne invadono il territorio. Questi attacchi, che gli ornitologi chiamano mobbing, sono in realtà comportamenti rituali consistenti in picchiate che il falco effettua ripetutamente sull'invasore emettendo acute grida di minaccia. Le picchiate sono precedute da un caratteristico volo detto spirito santo o hovering, col quale il falco è capace di stazionare immobile nell'aria con le ali aperte e le sole punte che battono, librandosi come una libellula. Lo spirito santo è usato anche per perlustrare attentamente il territorio di caccia alla ricerca di insetti, lucertole o piccoli mammiferi, ed è tanto comune che il nome dialettale del gheppio è cristariello. Una altra vittima frequente del mobbing dei falchi è il corvo imperiale (Corvus corax), anch'esso nidificante sulle falesie sorrentino-amalfitane. Questo grosso corvide è distinguibile per la colorazione nero brillante dalla poiana, che invece ha colori brunastri con punta inferiore delle ali bianche, e per la coda che non termina come un triangolo capovolto, piuttosto come un rombo.

Anche altri uccelli rapaci possono essere attaccati dal pellegrino o dal gheppio; personalmente abbiamo avuto la fortuna di fare due incontri spettacolari. Il primo è stato con un falco pescatore (Pandion haliaetus), un rarissimo rapace tipico delle zone costiere o paludose, così chiamato per la sua abitudine di cibarsi di pesci che riesce a catturare grazie agli artigli ricurvi e alle dita dotate di squame in mancanza delle quali non riuscirebbe a trattenere le sue prede. Ha colorazione bianca con dorso delle ali grigio e una caratteristica stria nera in corrispondenza dell'occhio. Nidificava secoli fa anche da noi, ma oggi è estinto in buona parte dell'Europa nonostante i progetti di reintroduzione recentemente elaborati in Scozia. Il nostro falco pescatore ebbe la sventura di passare sotto il nido del pellegrino il quale mise subito in atto il mobbing. Tuttavia dopo due o tre attacchi simulati, non avendo ottenuto molto successo su un intruso così inusuale, il pellegrino picchiò decisamente colpendo il falco pescatore sul dorso dal quale si levò una nuvoletta di piume. Inutile dire che quest'ultima tattica fu ... molto più efficace. Una seconda volta avemmo la fortuna di osservare dal mare un passo migratorio di una decina di pellegrini e contemporaneamente di una ventina di falchi pecchiaioli (Pernis apivorus), rapaci simili alle poiane. Il tutto con il pellegrino padrone di casa che osservava dall'alto attento e circospetto pronto ad agire in caso di necessità.

Un'altro rappresentante degli uccelli nidificanti sulle pareti rocciose è il gabbiano reale (Larus cachinnans); purtroppo la sorte di questo uccello, che richiama alla memoria suggestioni legate al mare e alle sue storie, è ben diversa da quella del pur sfortunato pellegrino. Infatti, secondo uno studio fatto nel 1988, nell'intera regione Campania risultavano solo cinque colonie di nidificazione attive, tutte ubicate sull'isola di Capri. In costiera altre colonie recenti, dove oggi si hanno segnali di ripresa, sono quelle di Recommone e di Capo d'Orso. Nel 1990 anche a Napoli, sull'isola di Nisida, si è insediata una nuova colonia di questo gabbiano; tuttavia attualmente la maggioranza degli individui che si possono osservare lungo le coste della Campania provengono dalle colonie di Capri o probabilmente da quelle delle isole Pontine.

Il gabbiano reale pur essendo l'unico gabbiano nidificante nella nostra regione, può essere confuso con altre specie, in particolare con il gabbiano comune (Larus ridibundus); questo è il gabbiano più numeroso in Campania, ma la sua presenza è limitata al solo periodo invernale, quando sceglie le zone costiere del Mediterraneo per trascorrere la stagione fredda. Gli adulti di gabbiano reale si distinguono, oltre che per le maggiori dimensioni, per il becco e le zampe gialle, il dorso e le ali superiormente grigie con punta nera, e la testa bianca; invece il gabbiano comune ha becco e zampe rosse più o meno brillanti, dorso e ali grigie ma con punta bianca al centro e nera all'estremità delle penne, e testa bianca con caratteristica macchia nera sulla guancia o completamente nera nel tardo inverno. Nel gabbiano reale gli individui giovani di uno e due anni di età, presentano invece un piumaggio screziato di marrone. Infine, durante le migrazioni si possono osservare anche altre specie di gabbiano, ma in maniera occasionale.

Un altro abitante caratteristico delle coste rocciose è il passero solitario (Monticola solitarius). Nonostante il nome, questo uccello nulla ha a che fare con i passeri (Passer domesticus) che abitualmente vediamo nei pressi delle nostre abitazioni; piuttosto può essere considerato un merlo dal colore azzurro. Infatti appartiene alla famiglia dei Turdidi che, oltre al merlo (Turdus merula) e al passero solitario, comprende anche il tordo (Turdus philomelos) e altri piccoli passeriformi come il pettirosso (Erithacus rubecula).

Il passero solitario è sicuramente un bell'incontro da fare; il maschio è infatti caratterizzato da una colorazione azzurra brillante ed è facile osservarlo mentre, dall'alto di una sporgenza aguzza di una rupe, canta vivacemente per delimitare il suo territorio. La femmina, invece, possiede una colorazione più brunastra e smorta che ne consente un migliore mimetismo sulle rocce. E' proprio l'abitudine solitaria, quasi di un'anima di cui echeggia un solitario canto verso il vento duro del mare, che ha solleticato la fantasia del Leopardi, che appunto confronta questo uccello a se stesso in balia del fato e della fugacità della vita.

La famiglia dei Turdidi annovera anche altre specie rupestri e pertanto osservabili dall'escursionista durante la sua passeggiata lungocosta. Tra essi il culbianco (Oenanthe oenanthe), così chiamato per la caratteristica colorazione bianca del groppone (la parte inferiore del dorso) che contrasta con il colore nero delle ali e della coda. Per il resto la colorazione del culbianco, il cui nome dialettale è baccarulo, è bruno chiara uniforme sul petto e grigio acciaio sul capo e il dorso, con una mascherina nera in prossimità degli occhi. La femmina del culbianco, come quella del passero solitario, ha colori più smorti e in particolare il capo più brunastro. Molto simile per colorazione e comportamento è la monachella (Oenanthe hispanica), che però si distingue per il dorso dello stesso colore del petto.

In primavera è anche facile osservare un uccello che, per velocità e colorazione, ci appare come un dardo infiammato: il martin pescatore (Alcedo atthis), una specie tipica delle sponde dei corsi d'acqua. Lo si ritrova frequentemente però anche in prossimità di coste rocciose e quindi lungo le scogliere sorrentino-amalfitane, dove si ritrovano individui giovani o adulti alla ricerca di nuovi territori (i cosiddetti erratici). La sua colorazione è molto brillante e possiede svariati colori e loro sfumature, quali il blu, il verde, il rosso e il giallo, tutti con lucenti riflessi metallici. Lo si osserva spesso in bella posta su uno spuntone di roccia pronto a tuffarsi sotto il pelo dell'acqua a caccia di crostacei, piccoli pesci e altri animaletti che con il poderoso becco aguzzo riesce a catturare con destrezza. Disturbato dalla nostra presenza fugge velocemente lasciando dietro di sé come una scia di colore.

L'escursionista che si allontanerà un po' dalla costa potrà incontrare un'altro uccello caratteristico: la berta. Un tempo nidificante, oggi è presente solo nel periodo delle migrazioni oppure durante gli erratismi che i giovani e gli individui che non si riproducono compiono a partire dalle vicine isole pontine dove ancora si riproduce. Le berte sono simili a gabbiani per dimensioni alari, ma hanno un corpo più piccolo; inoltre se ne differenziano per il comportamento di volo, più agile e spesso rasente il pelo dell'acqua. Nidificavano sulle isole de Li galli, Vetara e Isca, nonché sulla vicina Capri, ed è proprio in questo tratto di mare che tutt'oggi è più facile l'incontro. Si tratta in verità di due specie diverse: la berta maggiore (Procellaria diomedea) e la berta minore (Puffinus puffinus); quest'ultima è leggermente più piccola della maggiore e la colorazione nera del suo dorso contrasta maggiormente col ventre bianco.

Le berte, per le loro abitudini notturne e il verso lugubre e straziante, hanno sempre solleticato la fantasia dei marinai e degli uomini di mare che le hanno considerate fantasmi, spettri di origine divina, sirene o arpie. Il loro nome diomedee è localmente ripreso per denominare, in molti posti del Mediterraneo, isolette sopra le quali le berte nidificano (per es. le isole Tremiti in Puglia sono chiamate anche isole Diomedee).

Una specie legata a secolari tradizioni popolari è la quaglia (Coturnix coturnix); essa è tuttora ricordata da numerosi toponimi che spesso non si riferiscono direttamente al nome della specie ma ai tipici attrezzi usati per cacciarle. Questa antica attività è svolta tutt'oggi, nonostante la drastica riduzione dei contingenti migratori, e viene praticata con metodi illegali come i richiami durante la notte.

Nelle numerose grotte emerse della penisola nidificava invece un altro rappresentante dell'avifauna locale, oggi anch'esso purtroppo estinto: il piccione selvatico (Columba livia). Ne sono una testimonianza i toponimi che ne richiamano la specie come la Grotta d''e palummi vicino Recommone, o la Palommara nei pressi dello Scrajo.

Anche la ghiandaia marina (Coracias garrulus), un uccello dalla grandezza di un piccione con le ali colorate di un blu intenso contrastanti col dorso bruno ocra, non nidifica più. Oggi può essere osservata solo durante le migrazioni, spesso al largo degli scogli de Li galli, oppure tristemente imbalsamata su una mensola in un bar.

La nostra rassegna si chiude con il rondone maggiore (Apus melba); spesso confuso con la rondine (Hirundo rustica) si tratta in realtà di specie di dimensioni ben maggiori con le ali tipicamente falciformi e allungate, e dal piumaggio completamente nero ad eccezione del petto bianchissimo, che lo distingue dai loro fratelli rondoni comuni (Apus apus). Entrambe le specie nidificano in colonie numerose, a volte miste, presso la costa (p.e. a Crapolla) e anche in grotte (Recommone).

L'escursionista nautico potrà osservare, o più comunemente ascoltare, anche altre specie meno legate all'elemento marino. Tra questi ricordiamo la ballerina bianca (Motacilla alba), dalla lunga coda che muove su e giù come se danzasse, colorata di grigio sul dorso e di bianco sul ventre, tipico abitante dei rigagnoli e dei canali che giungono al mare dalla terraferma. Inoltre si ascolteranno numerosi uccelli, detti canori, come la cinciallegra (Parus major), dal suo monotono canto che suona come un si papà, si papà; il verzellino (Serinus serinus) dallo stridulo richiamo che ricorda una radio mal sintonizzata; i cardellini (Carduelis carduelis) che ci appaiono in un baleno in gruppi di 7-8 individui mentre volano da un cespuglio a un albero mostrandoci per un istante i loro colori vivaci, gialli, rossi, ecc.

Insomma, anche per il visitatore marino è possibile fare incontri spettacolari con abitanti della terraferma quali gli uccelli, e anche da una posizione privilegiata. Molte specie non saranno mai più osservabili, ma altre ancora ci allietano con la loro presenza, e forse, quel che più conta, contribuiscono a far funzionare un ecosistema così complesso e instabile quale quello costiero, e ciò nonostante "non è piacevole essere uccello nella Terra delle Sirene!".

Nel suo memorabile Siren land Norman Douglas notava: "No, proprio non si potrebbe biasimare chi volesse costruirsi un piccolo rifugio estivo, per trascorrere un breve periodo di Katharsis, di purificazione e riadattamento, qui, su queste odorose colline delle sirene...". Questa osservazione, sebbene riferita ad un esemplare umano, perchè non potrebbe essere estesa alle innumerevoli specie di fauna selvatica che abitano per periodi più o meno brevi queste terre? E ciò nonostante gli interventi sul territorio commessi negli ultimi decenni, non sempre corretti e appropriati, abbiano determinato un forte depauperamento del patrimonio naturalistico e quindi di quello faunistico. Tuttavia già ai primi del novecento lo stesso Douglas notava: "Non è piacevole essere uccello nella Terra delle Sirene!". Si riferiva allo sterminio ai danni di "... qualunque cosa abbia penne ... senza tener conto di misura e di specie".

Il maggiore interesse faunistico della penisola sorrentina è relativo alle numerose specie di uccelli migratori, conseguenza della particolare ubicazione geografica e della sua conformazione. Infatti gli uccelli migratori, durante il volo periodico tra gli areali settentrionali di nidificazione e quelli sud-Mediterranei o sud-Sahariani di svernamento, utilizzano principalmente isole e piccoli scogli lungo costa come aree di sosta. La stessa Punta della Campanella, sita all'estremità della penisola e in posizione limitrofa a Capri, Ischia, Procida, Vivara, e agli scogli di Isca, Vetara e Li Galli, viene vista dagli uccelli in migrazione come un'ulteriore isola. Così la sua ubicazione, lungo le principali rotte migratorie, rende possibile anche l'osservazione di quelle specie non strettamente legate all'ambiente costiero e roccioso.

Il passo primaverile è molto più numeroso di quello autunnale a causa dell'abitudine di molte specie a compiere migrazioni che gli ornitologi chiamano circolari. Accade infatti che, per raggiungere il luogo di riproduzione, venga percorsa una rotta diversa da quella precedentemente seguita verso il sito di svernamento. Così molte specie che in primavera migrano seguendo le coste italiane in autunno sorvolano altre zone. E' quindi più facile che capiti di osservare voli di aironi, piccoli trampolieri, gru, anatre, oche selvatiche, cicogne, ecc. durante il loro viaggio verso i quartieri di nidificazione, in particolare in aprile; si tratta di uccelli che solitamente frequentano ambienti per lo più paludosi o acquitrinosi e che tuttavia sorvolano il mare durante i passi migratori.

Il canoista potrà effettuare gli incontri più interessanti durante i tragitti sottocosta, alla base delle alte falesie a picco sul mare. Con un po' di fortuna potrà spiare, spesso solo a pochi metri di distanza, un cormorano (Phalacrocorax carbo) perfettamente immobile con le ali spiegate, in attesa che gli si asciughino dopo un tuffo nelle cristalline acque sorrentine alla ricerca dei pesci di cui si nutre. Molto probabilmente sulle stesse falesie potrà accadere di notare anche uno stormo di garzette (Egretta garzetta), piccoli aironi bianchi, che riposano appollaiate dopo numerose ore di volo. Sul mare, invece, potremmo imbatterci in uno stormo di anatre o oche in una tipica formazione a V a bassa quota sull'acqua.

Ma la primavera è anche un buon periodo per osservare uccelli ti­pici degli ambienti rocciosi. Si tratta di animali specializzati a sopravvivere in questo habitat che per molti altri si presenta ostile a causa dei venti, delle alte temperature estive, della salsedine, e della relativa scarsità di cibo. Chi va per mare è addirittura privilegiato nelle osservazioni rispetto a chi percorre sentieri a piedi; infatti molti di questi uccelli abitano falesie a picco sul mare, inaccessibili da terra. Queste costituiscono un sito ideale per costruire il nido al riparo dai numerosi predatori terrestri, come la volpe (Vulpes vulpes), i ratti (Rattus sp.), i gatti, i cani randagi e non ultimo l'uomo.

La specie principe delle falesie è senza dubbio il pellegrino (Falco peregrinus). Questo falco non è esclusivo abitatore delle aree costiere in quanto si trova anche in alta montagna; è una specie molto legata alla penisola sorrentina, dove è conosciuta col nome dialettale di falcune, con cui, in verità, vengono desi­gnate anche altre specie di falchi. Il pellegrino depone le sue uova su cavità o terrazze naturali, sfruttando spesso il nido abbandonato da altri grossi uccelli. Bisogna fare molta attenzione a non disturbarlo passando inavvertitamente sotto la parete rocciosa ove nidifica, infatti in questo caso se un adulto è in cova, si allontanerà allarmato e abbandonerà le uova o i piccoli in balia di eventuali predatori. Nella penisola sorrentina una coppia di pellegrini riesce a allevare sino all'involo due e spesso tre piccoli; questo elevato tasso di natalità è indice di un basso livello di inquinamento ambientale, in particolare quello da pesticidi. Infatti, in altri Paesi e anche altrove in Italia, il pellegrino è seriamente messo in pericolo dall'uso massiccio di fitofarmaci. Queste sostanze chimiche permangono a lungo nei tessuti delle piante per poi trasferirsi negli animali erbivori; questi a loro volta sono predati da altre specie e così via, sino ad arrivare all'apice della catena alimentare. In tutti questi passaggi i fitofarmaci non vengono mai eliminati, anzi si accumulano con concentrazioni sempre maggiori aumentando gli effetti dannosi. In particolare nei falchi molte di queste sostanze diminuiscono la fertilità degli adulti o rendono più fragili i gusci delle uova, riducendo quindi il tasso di natalità. L'unica causa che in penisola sorrentina ha determinato negli scorsi decenni una drastica diminuzione del numero di coppie di pellegrini è stato il disturbo dell'uomo. E' ancora viva nella memoria la pratica, ormai in disuso ma potenzialmente ancora pre­sente, di razziare le uova dal nido per destinarle al mercato dei falconieri d'oltralpe, in particolare di quei Paesi dove la specie è estinta o è molto più rara che da noi, come ad esempio la Germania. Fortunatamente negli ultimi dieci anni è diminuito il disturbo da parte dell'uomo, e conseguentemente è aumentato il numero delle coppie nidificanti, insieme alla speranza che questo affascinante uccello venga rispettato e assunto a simbolo ideale dei meravigliosi paesaggi amalfitani.

Altri uccelli rapaci che abitano le medesime pareti rocciose sono il gheppio (Falco tinnunculus) e la poiana (Buteo buteo). Il primo, agli occhi di un osservatore poco esperto, può essere confuso col pellegrino poiché gli somiglia nella forma falciforme e appuntita delle ali. Il pellegrino tuttavia presenta una sagoma molto più tozza, con una colorazione grigiastra e maggiori dimensioni, mentre il gheppio è più piccolo, più affusolato e di piumaggio bruno-rossiccio (il maschio con testa e coda azzurro-grigiastra). I due falchi sono invece facilmente distinguibili dalla poiana che, come tutte le specie appartenenti all'ordine degli Accipitriformi (ad esempio le aquile), possiede dimensioni in genere maggiori di quelle dei falchi e le ali dalla caratteristica forma larga e sfrangiata alle estremità come le dita di una mano. Frequentemente si potranno osservare i falsi attacchi che gheppio e pellegrino eseguono ai danni di poiane che ne invadono il territorio. Questi attacchi, che gli ornitologi chiamano mobbing, sono in realtà comportamenti rituali consistenti in picchiate che il falco effettua ripetutamente sull'invasore emettendo acute grida di minaccia. Le picchiate sono precedute da un caratteristico volo detto spirito santo o hovering, col quale il falco è capace di stazionare immobile nell'aria con le ali aperte e le sole punte che battono, librandosi come una libellula. Lo spirito santo è usato anche per perlustrare attentamente il territorio di caccia alla ricerca di insetti, lucertole o piccoli mammiferi, ed è tanto comune che il nome dialettale del gheppio è cristariello. Una altra vittima frequente del mobbing dei falchi è il corvo imperiale (Corvus corax), anch'esso nidificante sulle falesie sorrentino-amalfitane. Questo grosso corvide è distinguibile per la colorazione nero brillante dalla poiana, che invece ha colori brunastri con punta inferiore delle ali bianche, e per la coda che non termina come un triangolo capovolto, piuttosto come un rombo.

Anche altri uccelli rapaci possono essere attaccati dal pellegrino o dal gheppio; personalmente abbiamo avuto la fortuna di fare due incontri spettacolari. Il primo è stato con un falco pescatore (Pandion haliaetus), un rarissimo rapace tipico delle zone costiere o paludose, così chiamato per la sua abitudine di cibarsi di pesci che riesce a catturare grazie agli artigli ricurvi e alle dita dotate di squame in mancanza delle quali non riuscirebbe a trattenere le sue prede. Ha colorazione bianca con dorso delle ali grigio e una caratteristica stria nera in corrispondenza dell'occhio. Nidificava secoli fa anche da noi, ma oggi è estinto in buona parte dell'Europa nonostante i progetti di reintroduzione recentemente elaborati in Scozia. Il nostro falco pescatore ebbe la sventura di passare sotto il nido del pellegrino il quale mise subito in atto il mobbing. Tuttavia dopo due o tre attacchi simulati, non avendo ottenuto molto successo su un intruso così inusuale, il pellegrino picchiò decisamente colpendo il falco pescatore sul dorso dal quale si levò una nuvoletta di piume. Inutile dire che quest'ultima tattica fu ... molto più efficace. Una seconda volta avemmo la fortuna di osservare dal mare un passo migratorio di una decina di pellegrini e contemporaneamente di una ventina di falchi pecchiaioli (Pernis apivorus), rapaci simili alle poiane. Il tutto con il pellegrino padrone di casa che osservava dall'alto attento e circospetto pronto ad agire in caso di necessità.

Un'altro rappresentante degli uccelli nidificanti sulle pareti rocciose è il gabbiano reale (Larus cachinnans); purtroppo la sorte di questo uccello, che richiama alla memoria suggestioni legate al mare e alle sue storie, è ben diversa da quella del pur sfortunato pellegrino. Infatti, secondo uno studio fatto nel 1988, nell'intera regione Campania risultavano solo cinque colonie di nidificazione attive, tutte ubicate sull'isola di Capri. In costiera altre colonie recenti, dove oggi si hanno segnali di ripresa, sono quelle di Recommone e di Capo d'Orso. Nel 1990 anche a Napoli, sull'isola di Nisida, si è insediata una nuova colonia di questo gabbiano; tuttavia attualmente la maggioranza degli individui che si possono osservare lungo le coste della Campania provengono dalle colonie di Capri o probabilmente da quelle delle isole Pontine.

Il gabbiano reale pur essendo l'unico gabbiano nidificante nella nostra regione, può essere confuso con altre specie, in particolare con il gabbiano comune (Larus ridibundus); questo è il gabbiano più numeroso in Campania, ma la sua presenza è limitata al solo periodo invernale, quando sceglie le zone costiere del Mediterraneo per trascorrere la stagione fredda. Gli adulti di gabbiano reale si distinguono, oltre che per le maggiori dimensioni, per il becco e le zampe gialle, il dorso e le ali superiormente grigie con punta nera, e la testa bianca; invece il gabbiano comune ha becco e zampe rosse più o meno brillanti, dorso e ali grigie ma con punta bianca al centro e nera all'estremità delle penne, e testa bianca con caratteristica macchia nera sulla guancia o completamente nera nel tardo inverno. Nel gabbiano reale gli individui giovani di uno e due anni di età, presentano invece un piumaggio screziato di marrone. Infine, durante le migrazioni si possono osservare anche altre specie di gabbiano, ma in maniera occasionale.

Un altro abitante caratteristico delle coste rocciose è il passero solitario (Monticola solitarius). Nonostante il nome, questo uccello nulla ha a che fare con i passeri (Passer domesticus) che abitualmente vediamo nei pressi delle nostre abitazioni; piuttosto può essere considerato un merlo dal colore azzurro. Infatti appartiene alla famiglia dei Turdidi che, oltre al merlo (Turdus merula) e al passero solitario, comprende anche il tordo (Turdus philomelos) e altri piccoli passeriformi come il pettirosso (Erithacus rubecula).

Il passero solitario è sicuramente un bell'incontro da fare; il maschio è infatti caratterizzato da una colorazione azzurra brillante ed è facile osservarlo mentre, dall'alto di una sporgenza aguzza di una rupe, canta vivacemente per delimitare il suo territorio. La femmina, invece, possiede una colorazione più brunastra e smorta che ne consente un migliore mimetismo sulle rocce. E' proprio l'abitudine solitaria, quasi di un'anima di cui echeggia un solitario canto verso il vento duro del mare, che ha solleticato la fantasia del Leopardi, che appunto confronta questo uccello a se stesso in balia del fato e della fugacità della vita.

La famiglia dei Turdidi annovera anche altre specie rupestri e pertanto osservabili dall'escursionista durante la sua passeggiata lungocosta. Tra essi il culbianco (Oenanthe oenanthe), così chiamato per la caratteristica colorazione bianca del groppone (la parte inferiore del dorso) che contrasta con il colore nero delle ali e della coda. Per il resto la colorazione del culbianco, il cui nome dialettale è baccarulo, è bruno chiara uniforme sul petto e grigio acciaio sul capo e il dorso, con una mascherina nera in prossimità degli occhi. La femmina del culbianco, come quella del passero solitario, ha colori più smorti e in particolare il capo più brunastro. Molto simile per colorazione e comportamento è la monachella (Oenanthe hispanica), che però si distingue per il dorso dello stesso colore del petto.

In primavera è anche facile osservare un uccello che, per velocità e colorazione, ci appare come un dardo infiammato: il martin pescatore (Alcedo atthis), una specie tipica delle sponde dei corsi d'acqua. Lo si ritrova frequentemente però anche in prossimità di coste rocciose e quindi lungo le scogliere sorrentino-amalfitane, dove si ritrovano individui giovani o adulti alla ricerca di nuovi territori (i cosiddetti erratici). La sua colorazione è molto brillante e possiede svariati colori e loro sfumature, quali il blu, il verde, il rosso e il giallo, tutti con lucenti riflessi metallici. Lo si osserva spesso in bella posta su uno spuntone di roccia pronto a tuffarsi sotto il pelo dell'acqua a caccia di crostacei, piccoli pesci e altri animaletti che con il poderoso becco aguzzo riesce a catturare con destrezza. Disturbato dalla nostra presenza fugge velocemente lasciando dietro di sé come una scia di colore.

L'escursionista che si allontanerà un po' dalla costa potrà incontrare un'altro uccello caratteristico: la berta. Un tempo nidificante, oggi è presente solo nel periodo delle migrazioni oppure durante gli erratismi che i giovani e gli individui che non si riproducono compiono a partire dalle vicine isole pontine dove ancora si riproduce. Le berte sono simili a gabbiani per dimensioni alari, ma hanno un corpo più piccolo; inoltre se ne differenziano per il comportamento di volo, più agile e spesso rasente il pelo dell'acqua. Nidificavano sulle isole de Li galli, Vetara e Isca, nonché sulla vicina Capri, ed è proprio in questo tratto di mare che tutt'oggi è più facile l'incontro. Si tratta in verità di due specie diverse: la berta maggiore (Procellaria diomedea) e la berta minore (Puffinus puffinus); quest'ultima è leggermente più piccola della maggiore e la colorazione nera del suo dorso contrasta maggiormente col ventre bianco.

Le berte, per le loro abitudini notturne e il verso lugubre e straziante, hanno sempre solleticato la fantasia dei marinai e degli uomini di mare che le hanno considerate fantasmi, spettri di origine divina, sirene o arpie. Il loro nome diomedee è localmente ripreso per denominare, in molti posti del Mediterraneo, isolette sopra le quali le berte nidificano (per es. le isole Tremiti in Puglia sono chiamate anche isole Diomedee).

Una specie legata a secolari tradizioni popolari è la quaglia (Coturnix coturnix); essa è tuttora ricordata da numerosi toponimi che spesso non si riferiscono direttamente al nome della specie ma ai tipici attrezzi usati per cacciarle. Questa antica attività è svolta tutt'oggi, nonostante la drastica riduzione dei contingenti migratori, e viene praticata con metodi illegali come i richiami durante la notte.

Nelle numerose grotte emerse della penisola nidificava invece un altro rappresentante dell'avifauna locale, oggi anch'esso purtroppo estinto: il piccione selvatico (Columba livia). Ne sono una testimonianza i toponimi che ne richiamano la specie come la Grotta d''e palummi vicino Recommone, o la Palommara nei pressi dello Scrajo.

Anche la ghiandaia marina (Coracias garrulus), un uccello dalla grandezza di un piccione con le ali colorate di un blu intenso contrastanti col dorso bruno ocra, non nidifica più. Oggi può essere osservata solo durante le migrazioni, spesso al largo degli scogli de Li galli, oppure tristemente imbalsamata su una mensola in un bar.

La nostra rassegna si chiude con il rondone maggiore (Apus melba); spesso confuso con la rondine (Hirundo rustica) si tratta in realtà di specie di dimensioni ben maggiori con le ali tipicamente falciformi e allungate, e dal piumaggio completamente nero ad eccezione del petto bianchissimo, che lo distingue dai loro fratelli rondoni comuni (Apus apus). Entrambe le specie nidificano in colonie numerose, a volte miste, presso la costa (p.e. a Crapolla) e anche in grotte (Recommone).

L'escursionista nautico potrà osservare, o più comunemente ascoltare, anche altre specie meno legate all'elemento marino. Tra questi ricordiamo la ballerina bianca (Motacilla alba), dalla lunga coda che muove su e giù come se danzasse, colorata di grigio sul dorso e di bianco sul ventre, tipico abitante dei rigagnoli e dei canali che giungono al mare dalla terraferma. Inoltre si ascolteranno numerosi uccelli, detti canori, come la cinciallegra (Parus major), dal suo monotono canto che suona come un si papà, si papà; il verzellino (Serinus serinus) dallo stridulo richiamo che ricorda una radio mal sintonizzata; i cardellini (Carduelis carduelis) che ci appaiono in un baleno in gruppi di 7-8 individui mentre volano da un cespuglio a un albero mostrandoci per un istante i loro colori vivaci, gialli, rossi, ecc.

Insomma, anche per il visitatore marino è possibile fare incontri spettacolari con abitanti della terraferma quali gli uccelli, e anche da una posizione privilegiata. Molte specie non saranno mai più osservabili, ma altre ancora ci allietano con la loro presenza, e forse, quel che più conta, contribuiscono a far funzionare un ecosistema così complesso e instabile quale quello costiero, e ciò nonostante "non è piacevole essere uccello nella Terra delle Sirene!".


 

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